La lavorazione degli oli

 

Questo Mulino diventa frantoio nel 1871 e da allora tratta semi oleosi per la produzione di olio ad uso alimentare e industriale.

tramoggia.jpg (9800 bytes)Il seme trattato prima della guerra 40-45 era principalmente quello di lino che arrivava dalle colonie italiane in Etiopia, da Buenos Aires, dalla Turchia e da Montevideo; durante la guerra si usava anche il ravizzone, il girasole e le mandorle. Dopo la guerra e fino al 1969 il materiale principalmente usato è il germe di grano, e raramente anche mandorle, arachidi e noci.

I sacchi di juta contenenti i semi venivano scaricati a spalla e portati nel magazzino del primo piano, cui si accedeva direttamente dalla via De Amicis con la scala tuttora esistente nel locale del frantoio. Il primo piano era adibito a magazzino per i vari tipi di semi, che venivano rovesciati direttamente in mucchi sul pavimento di legno, perché i sacchi di juta facevano parte della dotazione del trasportatore.trituratore.jpg (21203 bytes)

Con la pala i semi venivano posti su una cinghia di trasmissione a tasche e portati nella tramoggia (a sinistra nella foto), ora sistemata al piano terra, che con movimento orizzontale separava i semi dalle impurità per una prima pulizia. Le impurità, dette anche "bruscaglie", venivano raccolte a parte; i semi invece erano avviati in un cassone a forma di imbuto e da qui scendevano nel trituratore (nella foto a destra) al piano terra.macina.jpg (17325 bytes)

Il trituratore a due cilindri era usato principalmente per il seme di lino che, ridotto a farina, cadeva per terra; da lì veniva raccolto con la pala e portato direttamente nel negozio o sistemato in sacchi. Se dalla farina di lino si voleva ricavare l’olio, si portava il materiale nel forno per scaldarlo, e poi nella pressa.

La macina (nella foto a sinistra) ha una enorme ruota di pietra di mt. 1,5 di diametro e cm. 40 di spessore detta "molazza" (che veniva chiamata anche "rudun"), e porta incisa nella parete interna la data del 1871 in caratteri alti cm. 20; essa ruotava con la forza dell’acqua perché collegata alla ruota esterna che pescava nel Lambro.

fig46.jpg (6194 bytes)Questa ruota esterna non è più esistente, ma si vede, a livello del pavimento, la grossa nicchia dove era innestato il perno, mentre all’esterno del Mulino è visibile il riscontro del medesimo perno che si allungava sino ad appoggiare al muro centrale di sostegno.

All’interno del Mulino è invece ben visibile lo spazio per una grande ruota interna, sotto il livello del pavimento; il vano, ora coperto da un cristallo, riguardava un’attività precedente legata alla follatura.

forno.jpg (12516 bytes)Quando la schiacciatura con la macina era ultimata, l’impasto formatosi veniva trasferito con una latta a due manici (esempio di recipienete nella foto a destra) nel forno (visibile nella foto in basso a sinistra), alimentato da vinaccioli e legname recuperato sulla chiusa della gora, asciugato e conservato nel sottoscala. L’impasto, per non bruciare sul fondo, era mescolato in continuazione dalla pala a elica interna. Sulla destra del forno è sistemato un piccolo tavolo di lavoro con il cassetto degli attrezzi.

torchio.jpg (18285 bytes)Il materiale riscaldato era quindi pronto per essere pressato.

Il torchio (nella foto a destra) è una grossa macchina di ghisa prodotta dalla ditta F.lli Pagnoni; ha nel centro un vano cilindrico dove viene messo l’impasto a strati inframmezzato da dischi di ghisa e juta; dopo aver disposto una decina di strati di semi, il torchio entra in funzione.

La pressione per far lavorare il torchio era fornita dalla pompa ad acqua (a sinistra); essa sollevava dal basso l’acqua contenuta nel basamento, ed esercitava nel torchio una pressione controllata da un manometro e proporzionata al tipo di semi lavorati, schiacciando fortemente i vari strati di poltiglia compresi fra i dischi di juta e di ghisa (conservati sino ad oggi come è possibile vedere nella foto a destra). pompa2.jpg (15649 bytes)Il risultato di questa pressione, e cioè l’olio, usciva dalle fessure sul perimetro del cilindro centrale del torchio e si raccoglieva sul fondo, dove, in corrispondenza di un ribasso del pavimento che si trova dietro al torchio, veniva raccolto in una latta. L’olio così ottenuto veniva poi versato in un grosso bidone di raccolta per la sedimentazione posto a destra della colonna di granito vicino alla scala. L’olio veniva poi portato alla raffineria se doveva servire per uso alimentare, o direttamente al cliente se veniva usato per l’industria (vernici, stucco, o altro).

ghisa.jpg (2198 bytes)A questa prima spremitura ne poteva seguire una seconda, con la quale si otteneva olio meno pregiato, rompendo i pannelli di scorie usciti dal torchio, e rischiacciando il tutto ancora con la molazza, e poi ripassando l’impasto al forno e al torchio.

Da un sacco di semi di lino di un quintale si ricavavano circa dieci litri di olio. Da un sacco di germi di grano che pesava circa kg. 40 si ricavavano cinque litri di olio; il germe di grano arrivava spesso dal Mulino della Cascinazza come sottoprodotto della farina di granoturco.

I pannelli di scorie pressate, di forma rotonda come il diametro del torchio, venivano venduti ai contadini che li adoperavano come mangime per gli animali; essi avevano anche una funzione medicamentosa.

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Il trasporto dell’olio veniva fatto con bidoni rinforzati da grossi cerchi di ferro per sopportare il rotolamento quando si usavano i camion, mentre per il trasporto leggero veniva usato il triciclo (visibile qui sopra) ancora oggi esistente; il "veicolo" doveva essere fornito di regolare bollo annuale. I bolli tuttora visibili sono quelli degli anni 1936, 1937 e 1938.