Maltempo in carriera
Quando alcune manifestazioni del clima disturbano il fluire delle nostre personali attività...
a cura del cap. d. m. Emilio Giuliano Bacigalupo
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Opinioni raccolte e suggerite quale spunto di riflessione
Energy and Civilization

Quando alcune manifestazioni del clima disturbano il fluire delle nostre personali attività, ecco irritarci e catalogarle come "brutto tempo".

Ovviamente dimentichiamo che la pioggia é utile per la terra, che la neve é necessaria alle varie quote, che il vento é indispensabile dappertutto, persino per “spolverare” le città. E' la legge della natura che, ricordiamoci, ospita gli esseri umani e non viceversa; i suoi eccessi sono spesso fuori media come intensità, durata, frequenza: dall'alluvione alla grandine, temperature ed umidità - siccità, gelo, nebbia - inconsuete, tutte logoranti il normale adattamento psicofisiologico ma inevitabili.

Poi vi sono gli estremismi ambientali, vulcanismo e terremoti, sino al recente catastrofico maremoto: che fa riflettere sul mistero del dolore.

Quindi é giusto proteggerci ove possibile dai capricci naturali, ma limitando certe artificiosità moderniste e relative controindicazioni, soprattutto accettando per forza maggiore le condizioni meteo come "politicamente corrette": anche se preferiremmo "votare ed eleggere" un clima idilliaco perennemente disponibile.

Comunque questa discreta gradevolezza climatica é solitamente presente in Italia, comparata con quelle più gravose mediamente nei paesi del globo più lontani; di certo crescono le eccezioni come la recentissima "paralisi nevosa" nel nostro meridione, sebbene si potrebbe chiamare in causa la corresponsabilità dell'uomo anche dalla compromissione della biosfera, dal suolo alle acque all'aria. La premessa è per introdurre, scherzosamente ma non troppo, l'argomento dell'influenza del maltempo sulla vita di ciascuno compresa la fase lavorativa: non quella del tipico spostamento (casa-ufficio-cliente-stabilimento-cantiere, ecc.), bensì sullo sviluppo della potenziale carriera; sebbene non esista controprova perché nessuno torna indietro per varcare un'altra porta del destino.

Due episodi datati come esempio, forse a conferma di quanto sopra. Verso la prima settimana dell'aprile 1963 stavo concludendo al Sestriere una piacevole vacanza dopo essermi dimesso da un'azienda per un successivo miglioramento.

La tentazione di sciare anche il sabato mi costò una nevicata notturna tale da nascondere il tetto dell'automobile. Spalai neve sino alle ore nove, misi le catene, e mi diressi in discesa verso Cesana rischiando qualche uscita di strada. II peggio però venne dal contemporaneo problematico rientro di molte macchine, tra nevischio e pioggia, sino al blocco di Exilles. Nessuna traccia di polizia stradale e mezzi di soccorso, anzi alcuni autocarri salivano ed in una curva stretta (di allora) quasi mi scontrai con uno di essi. Il camionista con la sua pala voleva aprirmi un varco nella parete di neve; mi sobbarcai invece la fatica per non _rischiare graffiature sull'auto appena acquistata. Sorvolo sui tanti altri inconvenienti per concludere l'avventura, affamato e congelato nonché esausto, alle ore una della domenica in un albergo di Susa: cioé dopo sedici ore interminabili per percorrere a passo d'uomo 48 km.

Quale é il nesso con la carriera? Al lunedì successivo dovevo assumere un interessante incarico in una grande azienda di climatizzazione a Milano e nello stesso pomeriggio presentarmi a La Spezia in una ditta consorella per un corso di specializzazione frigorifera.

Fu un "pesce d'aprile" che come ex marinaio risolsi bene, con fortuna, per la salute ed il lavoro.

Il secondo "maltempo" arrecò invece questi problemi ad un amico, Giorgio, invitato ad un corso professionale negli Stati Uniti. Il 26 gennaio 1967 una fitta nebbia non permise il volo SwissAir da Milano a Chicago ed il protagonista - con moglie, si assentavano dall'Italia sei mesi - dovettero prendere il treno per Zurigo.
Il giorno dopo freddo e pioggia (svizzeri) non allietarono il decollo ma, dopo una transoceanica nell'azzurro, il peggio si materializzò in una delle più forti tormente di vento e neve, tanto da paralizzare il nord est degli U.S.A.. Si attese in circolo un'ora e l'atterraggio su una sola pista del Kennedy Airport fu a rischio: tutti erano impressionati, ancor più la moglie di G. al suo primo volo!

Due giorni a New York bloccati da oltre, un metro di coltre bianca, poi il ripristino dei collegamenti con cielo sereno da rasserenare ogni titubanza sino a Chicago. Il tragitto successivo era breve ma, nelle nubi a bassa quota, tornò l'ansia; pernottarono a Madison e raggiunsero con treno più autobus la destinazione: una cittadina sulle sponde settentrionali del fiume Mississippi. Era la sera del 31 gennaio, trascorsi sei giorni in viaggio contro le diciotto ore programmate con natura benigna. I coniugi iniziarono così non al meglio ad affrontare i vari inconvenienti dovuti alla lingua con pronuncia locale, all'alimentazione "americana”; al clima sino a -30°C, etc.
Un funzionario dell’azienda ospitante, sentite le disavventure del viaggio e spese relative, suggerì una lettera di G. alla direzione della casa madre in cui si dettagliava l'accaduto; e con l'occasione si anticipava l'annotazione del ritorno in patria a luglio su nave, pagandosi la differenza di tempo e di costo rispetto all'aereo.

Copia della missiva venne inviata al capo della filiale milanese il quale, influenzato dalla segretaria (per motivi pleonastici) reagì scrivendo al direttore statunitense di essere talmente deluso, per l'opzione "marina" suggerita dalla moglie, da ritenere immaturo il protagonista e dichiarare il suo licenziamento al ritorno. Seguirono settimane di inquietudine familiare e complicazioni di salute per le conseguenze lavorative, pur con la solidarietà della direzione centrale: che poi riportò alla ragione il dirigente italiano prima dell'estate.

Ma il "vulnus" restava latente e successivi contrasti organizzativi indussero più tardi G. a rinunciare a questa interessante opportunità per trovarne un'altra di minore importanza economica.

Naturalmente il "bel tempo" favorevole alla carriera é una forzatura opinionistica, comunque sinonimo di quanto un ambiente più sereno, con meno "temporali", può ridurre lo stress lavorativo e magari rafforzare un impegno aziendale. Per contro il "maltempo" può manifestarsi talvolta nemico della salute, difendibile nei limiti della previdenza e della provvidenza, ma resta comunque un'espressione imprevedibile ed inevitabile della natura governante i governi dell'uomo, anche il più arrivato in alto.

Si potrebbe infatti constatare "la carriera del maltempo" sia per le crescenti conseguenze dell’attività antropica nelle perturbazioni dell'ambiente, sia per la nostra soggettiva percezione negativa di situazioni che nel passato erano meglio tollerate date le minori esigenze esistenziali.


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