L'arma sepolta
...quando la violenza dissacra l'essere umano!
a cura del cap. d. m. Emilio Giuliano Bacigalupo
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Opinioni raccolte e suggerite quale spunto di riflessione
Energy and Civilization

Dal sacro del precedente articolo, anche lieto, al profano dell'attuale, quando la violenza dissacra l'essere umano. Lo spunto del titolo nasce da vicende familiari accadute durante la seconda guerra mondiale, in particolare a Trisobbio in provincia di Alessandria.

Trisobbio in provincia di Alessandria
Trisobbio in provincia di Alessandria
Questo paese dell'alto Monferrato, arroccato su una collina con il castello dei Malaspina sovrastante la chiesa parrocchiale di Santo Stefano, presenta una curiosa storia descritta nei dettagli sul sito Unione dei Castelli al quale rimandiamo.
Accenniamo soltanto agli anni 1000 quando Durone, vescovo di Acqui, assegnò una pertinenza alla comunità di Trexoblo, poi riscritto più volte sino a Trisobbio. Vuole la leggenda che il toponimo derivi da tre uomini sobri fratelli di sette uomini ebbri: da cui Tres Sobri, una rarità in una patria di vigneti!
Un balzo storico ed arriviamo ad un primato del quale ogni civiltà non vorrebbe gloriarsi: a Vernante (Cuneo) il 24/4/1815 cadde nell'adempimento del dovere il primo militare del "Corpo Carabinieri Reali" il trisobbiese Giovanni Boccaccio. E purtroppo altri recenti compaesani caduti nella guerra partigiana: Giuseppe Ivaldi e Giovanni Gollo, rispettivamente nell'autunno 1944 sull'Appennino Ligure e nel vicino paese di Montaldo all'inizio del 1945; ad essi Trisobbio ha intitolato due piazze onorandoli assieme nel cimitero.
Tutto ciò é preliminare ai fatti che vedono la mia famiglia, dopo il bombardamento navale francese nel giugno 1940, lasciare Genova ed abitare tre anni ad Acqui Terme presso i nonni materni, poi altri tre in una loro casa a Trisobbio; con l'ausilio alimentare di un campo a fondo valle ed una vigna in collina.
Mio padre lavorava all'Ansaldo di Sampierdarena e ci raggiungeva a fine settimana con mezzi sempre più avventurosi per le azioni belliche in corso, tra cui le incursioni aeree inglesi su Ovada e dintorni.
Mia madre - parliamo della critica estate 1943 – aveva un cugino trovatosi in Francia per lavoro, diventato partigiano "maquis" e due fratelli coinvolti in questi gravi avvenimenti: il più giovane nel campo di concentramento presso Osnabruck in Germania, l'altro appena congedato e sulla strada a tappe forzate per Roma.
Il primo era stato chiamato sotto le armi nel 1934 e richiamato per l'addestramento nel 1938, poi impegnato sulla costa francese vicino a Tolone nel 1940 infine nel drammatico conflitto sul fronte greco-albanese; sottufficiale degli alpini nella divisione Cuneense e catturato dai tedeschi dopo 1'8 settembre 1943, tornò dalla prigionia due anni dopo con metà peso corporeo e doppio peso dolente ma tuttora, pur con ulteriori prove esistenziali, uomo di ammirevoli serenità e dignità.
Il secondo fratello, dirigente statale nella capitale con famiglia, viene nominato nel 1941 capitano di complemento ed assegnato ad un forte sulle colline genovesi dove, stante la relativa tranquillità dell'inizio della guerra, più che a operazioni di artiglieria si poté dedicare con i suoi soldati a coltivare ortaggi nei terreni attigui, memore dell'infanzia contadina. Prima di riprendere l'impegno nel Ministero romano, in cui raggiungerà la carica di direttore generale del demanio, venne a salutarci a Trisobbio ma, alla notizia dei rischi di viaggio nell'incombente armistizio dell'Italia, rinunciò a portare la rivoltella di ordinanza nascondendola scarica in un vecchio scarpone nella soffitta piena di oggetti vari.
Doverosamente avverto che questi particolari sono frutto di una "memoria antica" pertanto richiamate oggi con qualche inavvertibile imprecisione.
Giunse la notte tra 1'1 e il 2 gennaio 1945 con il rastrellamento del paese da parte di truppe naziste SS (Schutz Staffeln) arruolate nell'est europeo e dai connotati sconosciuti: come quelli del loro informatore in zona con maschera ad indicare determinate abitazioni.

La mia famiglia
La mia famiglia
In casa nostra non sapremo mai se entrarono per i riferimenti parentali sopra descritti o ancor più per i sospetti politici su mio padre, nel suo ambito lavorativo antifascista, che era intanto ritornato a Genova nel precedente pomeriggio. Il frastuono dell'irruzione ci svegliò, mia sorella di sei anni brevemente, io undicenne impaurito testimone del timore di mia madre. La pattuglia apprezzò prima di andarsene resti di torta e vino del capodanno, non trovando nulla di interessante: tanto meno, per fortuna, la scala a pioli in un ripostiglio e l'indizio impercettibile di una botola nel soffitto di legno; elementi questi di cui mia madre, allentatasi la bufera emozionale, mi fece partecipe facendosi aiutare nella laboriosa ricerca della rivoltella. Non fu facile - ma tremavamo al pensiero della reazione dei militari se l'avessero trovata - e posta nel fondo di un cestino sotto dei panni campagnoli la portammo nel capanno della vigna.
Qui in un angolo scavammo una piccola e profonda buca ove tuttora, penso, giace l'arma sepolta.


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"L'arma sepolta" all rights reserved - 4 maggio 2007
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