Chi ama la sua vita
la perderà, chi... (Giovanni 12,25)
a cura del cap. d. m. Emilio Giuliano Bacigalupo
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Opinioni raccolte e suggerite quale spunto di riflessione
Energy and Civilization

Lungi dalla pretesa di un'esegesi evangelica, compito e competenza della Teologia Cristiana, ma la provocazione di tale monito, pur datato e lontano, induce ad una curiosità laica, qui ed ora: quindi ad una opinione condivisibile o criticabile, una dicotomia discutibile.
Un'interpretazione ovvia é comportarsi con umano distacco dalle passioni e pulsioni materiali, senza necessariamente odiarle: un equilibrio vitale di probità così difficile da meritare il premio ultraterreno; che verrà negato assecondando le comprensibili debolezze, anzi amandole come piacevolezze.
Il traguardo meritocratico in questo mondo é fine a se stesso per i cosiddetti agnostici, essendo in molti di essi presente e cogente un codice morale di razionalità, un appagante autostima di moderazione, una convinzione di sacrifici offerti e non sofferti. Per contro molti cosiddetti fedeli, visibilmente osservanti e praticanti, non sanno o non possono applicare retti principi agli accadimenti normali: ancor meno a quelli eccezionali che l'esistenza sorteggia come ostacoli di prova, quando cioè il fato condiziona il fatto. Al riguardo il quadro antropologico é rappresentativo nei quattro simboli floreali della descrizione biblica (vedere l'articolo "Premessa alla Terra").
L'abbinamento credere / agire é infatti un fattore umano oscillante, un delicato confine tra egoismo ed altruismo, la tentazione prevaricante dell'avere sull'essere: oggi anche dell'apparire. Carriera e guadagno sono solitamente mascherati dal convincimento di meritarsi il successo, quando invece é frutto di un amore esagerato per onori e prebende, grazie a compromessi e favoritismi.

Assodata una realtà spesso materialistica vigente nelle nostre società, l'attuale crisi finanziaria - e di conseguenza economica - rivela la propria amoralità anche nell'eccessiva sperequazione delle rendite tra i vari soggetti. A parte sono le difformità di tipo ereditario, retaggio dinastico storicamente ingiusto ma politicamente consolidato; a parte inoltre l'assurdità di contratti faraonici dettati dalla moda, dallo sport, dall'arte: per tutti le imposte sono l'unico e modesto correttivo.
Più diffuso é il crescente divario tra benessere e malessere degli emolumenti pubblici e privati, pur ascrivendo questi ultimi a logiche aziendali: attenzione comunque al moltiplicatore degli stipendi bassi per traguardare quelli alti sino ai massimi. La valutazione é ovviamente soggettiva a suo tempo espressa (vedere l'articolo "Il morso di Pluto"), ma non molto divergente dagli odierni autorevoli commenti sociologici, coinvolgenti politici e burocrati, amministratori con bilanci negativi.
E' convinzione che introiti elevati al vertice sono doppiamente offensivi verso i subalterni, soprattutto i più indigenti: é matematicamente vero che una congrua riduzione dei picchi retributivi aumenterebbe "di poco i tanti"; i quali però utilizzerebbero l'extra per incrementare gli acquisti, con vantaggi di mercato superiori a quelli dei "pochi di tanto" per i beni di base. Sarebbe pure un segnale per tacitare malumori sociali: attuali proteste e minacce, persino sequestri, a dirigenti e personalità; atti deprecabili ma sintomatici.
Poi l'altra offesa, quella implicita di un quoziente intellettivo proporzionale alla retribuzione complessiva, quindi molto superiore a quello della restante massa: genialità ed intuizione, cultura ed esperienza, si premiano già da sole, essendo doni esistenziali, esempi stimolanti, ripagati da stima ed ammirazione generali.
La ricerca ossessiva di profitti può nuocere a terzi - caso limite le costruzioni scadenti e scadute nel terremoto in Abruzzo – quanto meno colposa anche in famiglia se anteposta ai valori educativi; una agiatezza talvolta disgregante l'immaturità dei giovani.

Infine l'aspetto prevalente di questa opinabile interpretazione: la spiritualità strutturata di molti noi viventi (vedere l'articolo "Pensanti e Speranti") nonché tendenzialmente Credenti, alcuni secondo l'inquietante "scommessa di Pascal" ossia la convenienza della scelta fideistica di minor rischio.
Amare la vita (troppo) è perdere quella eterna? Odiarla (non rifiutarla) significa ottenerla?
Questi interrogativi implicano le prove personali della gioia e della sofferenza, la bellezza e la durezza dell'ambiente, il rapporto con le varie situazioni: avvenimenti e giudizi non comparabili, ancorché percepiti soggettivamente e contestualmente relativi.
Conservare timore se non paura della "fine" é sacrosanto perché il "fine" é la consonanza comportamentale della vita terrena a proseguire nella successiva, la quale può essere premiante dell'impegno profuso secondo criteri laici equivalenti, se in buona fede, a quelli della Fede.
Come discriminante ricordiamo l'opinione di un'alta mente: il poco / tanto dolore dell'uomo lo allontana / avvicina a Dio: conviene però ascoltare con empatia le persone sofferenti perché l'eccesso - a parte la virtuosa vicenda di Giobbe - incrina la dignità anche di chi ha vissuto nella pienezza della morale, o almeno vi ha doverosamente creduto e tentato. L'obliterazione della nostra permanenza in questo mondo - il granello di frumento muore affinché il seme generi altro frutto (versetto 24) - é inevitabile, pertanto é bene affrontarla con coraggio senza scappatoie artificiose ed illusorie, a volte contro natura ad opera di un forte affetto ma "approssimato per difetto".
Paradossalmente per molti Cristiani l'accanimento nel prolungare forzosamente la vita sembra adombrare il timore dell'eternità: per molti altri, formalmente con minor fede ...forse con maggior pietà, l'amore si coniuga con il dolore nella compostezza testimoniale che "al termine della notte sorgerà un giorno consolatorio".

Testamento bioetico?



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