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Rete delle piccole Citta`

Dallo Statuto al Progetto

di Pietro M. Toesca

L'autoanalisi della città

Abbiamo chiarito che non è la città antica il rifugio della nostra insoddisfazione o della nevrotica disperazione di chi attribuisce al moderno come tale e ai mezzi di produzione e di comunicazione (inventati su per giù nell'ultimo secolo) la distruzione dell'orizzonte umano, di quello visibile e soprattutto di quello invisibile: della nostra capacità di giudicare, di godere e di fantasticare efficacemente.
Anche perché non facciamo capo solamente alla città costruita ma al suo situarsi al centro di un territorio che ad esso fa riferimento assomigliandole e assomigliandola a sé, un territorio ambiente la cui realtà attuale è tanto il prodotto della natura quanto dell'attività umana, una attenta discreta significativa presenza che è, precisamente, il risvolto dialettico, l'altro polo, della costruzione della città.

E' ben per questo che parliamo di territorio delle piccole città. Il nostro proposito si inserisce dunque nel grande movimento di restituzione ecologica di tutti quei processi grazie ai quali natura e uomo si conservano e si evolvono in quella che sinteticamente è chiamata biosfera.
Ma in questo inserimento c'è una pretesa di accentuazione che non ci può essere sottratta, se non per lasciarsi sfuggire una preziosa specificità di contributo.

Noi pensiamo alla possibilità di un'autoanalisi della piccola città attraverso cui quella dialettica tra bellezza e utopia sia liberata e dia luogo a una riprogettazione dell'ambiente umano, ben sapendo che è proprio la città metropolitana odierna il luogo esemplare del rovesciamento dei criteri che presiedono alla situazione corretta dell'uomo nello spazio.

La contaminazione, l'inquinamento, la sopraffazione della natura è una circostanza del sistema delle metropoli come centro del progetto di occupazione planetaria da parte del potere della ricchezza.

Bisogna guardare in faccia la realtà, anche se spaventosa: la presenza dell'uomo odierno è ovunque distruttiva e inquinante.
Spazi incontaminati?
Aspettateci, che arriviamo.

Ma non c'è modo di ricordare tempi e luoghi in cui la capacità specifica dell'uomo di trasformare macroscopicamente la natura in cui egli vive cresce e si moltiplica si sia data anche come capacità interpretativa, addirittura microscopica, della natura e quindi come compimento sintetico dei suoi processi creativi e di manifestazione?

[gif - 18,373 bytes]L'esperienza delle piccole città a cui oggi attribuiamo grande importanza storica, culturale e ambientale ci sembra uno di questi preziosi momenti.

Trasformazione della natura in funzione della sua interpretazione. Se vogliamo identificare la differenza tra uomo e altri esseri viventi nella mediazione della consapevolezza che qualifica le operazioni del primo, siamo oggi in grado di qualificare a sua volta la consapevolezza attribuendole l'elemento della misura come essenziale ad un approccio reale davvero posseduto ed appropriato.

Consapevolezza che i limiti di ogni e di tutte le possibilità sono definiti dal senso che quelle possibilità hanno rispetto al soggetto di cui sono l'espressione dinamica.

La conservazione e la crescita e non la distruzione: e questa dialettica possibilità- limiti, imponendosi come condizione di significato, delimita pure la pretesa di ogni soggetto di essere assoluto.

Se l'Ottocento ha segnato particolarmente il processo di appropriazione sociale della soggettività (creando, per necessità polemica di liberazione, solidarietà tra soggetti costituiti in soggetto sociale comune) la grande esperienza di trasformazione e di distruzione della natura da parte dell'uomo negli ultimi decenni del Novecento ha riproposto come urgente il riconoscimento di un'altro soggetto come referente e come condizione della stessa soggettività umana: la natura presa nel suo insieme come complessa realtà in equilibrio evolutivo. Il paradosso è che questa "soggettività" della natura assume esplicite caratteristiche di consapevolezza solo attraverso quella parte della sua realtà, l'uomo, che dunque per un verso la rappresenta e in qualche modo può ordinarne di volta in volta, cioè storicamente, i processi creativi in esiti sintetici, ma per l'altro le si pone anche di fronte, e contro, e può tanto incidervi da violarne non solo le regole ma i processi stessi di formazione e di sviluppo, e infine può distruggerla.
Certo, per la biunivocità della sua situazione, distruggendo anche se stesso. E' in questo clima estremo, in questo frangente odierno, drammatico (in cui ciò che l'uomo fa o ciò che l'uomo non fa conta così tanto), che il ricorso alla città storica assume un significato determinante.

La città storica è la splendida espressione di un dialogo intersoggettivo: tra il singolo e la comunità, tra le varie comunità, tra queste e la natura intesa sia come circostanza che, prima di tutto, come regola di vita.
A cominciare dai moduli costruttivi, ai ritmi e alle misure di ogni attività, il triplice riferimento, ripetutamente circolare, tra uomo, società e natura, definisce ogni oggettivazione, la città, la campagna, il viaggiare, lo stare fermi.

Si dirà che questo è anche il risultato di un limite non necessariamente strutturale, tant'è che poi è stato storicamente superato: l'uomo ha acquisito strumenti di presenza, di trasformazione e di dominio che allora non aveva.
Ma proprio qui sta l'esemplarità non esaurita di quell'esperienza.

Come il limite allora storico è stato splendidamente utilizzato per creazioni metastoriche di grandissimo significato, così gli straordinari mezzi di intervento che l'uomo ha predisposto oggi debbono trovare una via di espressione che non consista puramente nel superamento di limiti (ciò che potrebbe oltretutto rivelarsi superfluo ed insensato: la grande civiltà cittadina insegna), ma nella ricerca e nella realizzazione di altre forme creative, altrettanto equilibrate, non sfrenate quantitativamente, esito di un nuovo, più ricco, equilibrio inventivo.

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